Il regime commissariale alleato e le Banche Popolari

Il libro di Giuseppe De Lucia Lumeno è importan­te perchè disvela tre questioni storiche che sono essenziali per comprendere le caratteristiche della ricostruzione economica dell’Italia postbellica. La prima questione è di ordine generale ed è quella che occorre ben comprendere il fatto che il proces­so di ricostruzione dello stato italiano che aveva subito prima il trauma del 25 Luglio e poi quello dell’8 Settembre ‘43 inizia in un contesto di divisio­ne territoriale, divisione determinata dallo svolger­si stesso del conflitto, sul nostro territorio nazio­nale, per quel lungo periodo di tempo che va dallo sbarco degli Alleati in Sicilia alla sconfitta armata dei fascisti e dei tedeschi che culmina il 25 Aprile 1945. Di più, la creazione del Governo Badoglio al sud e la firma in due fasi successive dell’armistizio che segna il passaggio di fronte dell’Italia al fian­co degli Alleati, contrassegnerà questa divisione in modo tanto marcato da influenzare, come sappia­mo, anche la lotta politica successiva nell’Italia che da monarchica diverrà repubblicana.

Gli Alleati e il Corpo di Liberazione Nazionale combattono una guerra che si rivela assai più lun­ga e difficile del previsto e, via via risalendo l’Italia, operano per ricostruire lo stato non nel suo boz­zolo burocratico, che rimane intatto, ma piuttosto nel patrimonio di legittimazione che invece muta di segno.

Il libro offre un’eccezionale dimostrazione di come a questa nuova legittimazione contribuirono certamente le forze dell’antifascismo ma in misu­ra determinante, con intensità molto maggiore di quanto oggi sinora la storiografia abbia sottoline­ato, le forze militari alleate. Etra queste, mentre trasluce tutta la diffidenza verso la nuova Italia che animava la cuspide dell’esercito del Regno Unito, spicca per l’afflato democratico il ruolo dell’eserci­to degli Stati Uniti d’America. A questo proposito è esemplare la vicenda decritta al termine del li­bro di cui è protagonista la Banca di Piacenza. In un territorio che era stato duramente colpito dal­la crisi del’29 sul fronte bancario, giacché tre dei suoi istituti di credito più importanti fallirono, si svolge l’attacco che il nuovo Prefetto postfascista sferrò agli organi dirigenti della Banca di Piacenza. La difesa che questi fecero della loro onorabilità, battendosi per salvare non solo quest’ultima, ma soprattutto l’istituto, non avrebbe potuto avere il corso positivo che ebbe senza l’intervento diretto dell’amministrazione alleata, dei suoi alti quadri militari nordamericani che capovolsero la situazio­ne e rilegittimarono il gruppo dirigente che poté continuare a svolgere la sua opera. E’ inutile dire che questa prima questione storiografica, evoca­ta nel libro per metafora, è ricca di riferimenti alla situazione odierna e in senso più ampio al nesso tra nazione e internazionalizzazione, nesso che per l’Italia si dispiega positivamente solo attraverso la stretta alleanza con gli USA.

La seconda questione che il libro solleva è quel­la che costituisce la spina dorsale di questo lavoro, ossia il ruolo che la Banca d’Italia ebbe nello svol­gersi degli avvenimenti di cui abbiamo fatto cenno. La creazione della Repubblica di Salò, espressione istituzionale dei “Quisling” italici pose su nuove basi una divisione che sino ad allora era solo stata di fronti di battaglia. Salò aspirava a ergersi come istituzione vera e propria di un’Italia che non aveva abbandonato le antiche alleanze e voleva continua­re la guerra a fianco dei tedeschi. Fu una scelta ben diversa da quella che fece, per esempio, la Fran­cia di Petain, con il regime di Vichy. Anche lì interi segmenti o settori dell’apparato statale si posero al servizio dell’occupante, ma questo tradimento della Patria non assunse mai il ghigno atroce e vio­lentemente selvaggio dell’Italia repubblichina. In questo contesto di violenza barbarica si trovò ad agire quella ramificazione, quel tessuto organiz­zativo della Banca d’Italia, che doveva continuare a svolgere il suo ruolo istituzionale nell’Italia non ancora liberata. Qui De Lucia Lumeno propone una serie di silhouette prosopografiche non prive di giudizi precisi sugli uomini e sul loro operare re­lativamente al ruolo svolto dai vertici dell’Istituto di Emissione. Essi agirono in un’Italia fascistizza­ta e nazificata ma non si fascistizzarono e non si nazificarono. Presero tempo, giocarono di attesa, contando i giorni e le ore sperando nell’arrivo delle truppe liberatrici ma nel contempo continuarono a esercitare la funzione che a loro competeva, ossia essere il centro di quel sistema nervoso che attiva le diastole e le sistole della circolazione della moneta, quale che sia il regime politico e istituzionale in cui essa si svolge. Circola perché deve circolare, pena la decadenza della vita stessa della società civile. Questo ruolo di centro motore della vita moneta­ria della nazione naturalmente spicca con grande evidenza nell’Italia liberata. Equi De Lucia illustra molto bene il ruolo della tecnocrazia alleata. Gli alti gradi dell’esercito nordamericano e del Regno Unito sono formati di tecnici di indiscusso valore in campo bancario e finanziario, come dimostrerà del resto il loro percorso di vita dopo la fine della guer­ra, occupando tutti alti incarichi tra politica ed eco­nomia nei loro paesi d’origine. De Lucia fa un uso attento della scarsa storiografia al riguardo e invita gli studiosi a mettersi al lavoro, a esplorare un terri­torio ancora in larga parte vergine, che ha nelle sue praterie immensi giacimenti archivistici che ancora bisogna dissodare. Anche la Banca d’Italia non era da meno per l’alta qualità della sua tecnostruttura ancora di ascendenza nittiana che era stata forgia­ta da grandi figure come Stringer e Beneduce, e tra codeste figure ha fatto gran piacere a chi scrive ve­der ricordato il ruolo svolto in quei tempi tormen­tati da Paolo Baffi, allora responsabile degli Studi in Banca d’Italia.

La terza questione che questo libro solleva è la centralità universale della Banca non solo come im­presa ma come istituzione, sia che si parli di ban­che centrali sia di banche tout court nelle diverse forme di allocazione dei diritti di proprietà, dalla forma capitalistica a quella cooperativa. Equi non si manca di sottolineare il ruolo prezioso svolto in quei frangenti terribili dalle banche popolari, per favorire e conservare la circolazione della moneta simbolica anche in un periodo di accentuata tesau­rizzazione e di scarsità del credito, tipico di tutte le situazioni di crollo istituzionale. Un ruolo e una funzione polifonica che occorre sempre ricordare soprattutto in tempi come questi quando è stata attaccata al cuore proprio questa genetica diversità dell’istituzione bancaria. Diversità che in ogni dove ne costituisce la forza.

Prof. Giulio Sapelli

Università Statale di Milano

23 Gen 2017